Questo articolo, “Linux e Open Source: un business possibile“ (nel quale peraltro ci sono alcune imprecisioni terminologiche), si aggiunge al carnet di documenti che posso citare tutte le volte che mi trovo a dover spiegare che fare soldi col software libero non solo è possibile, ma rappresenta una forma di sostentamento che unisce alla soddisfazione economica quella “etica”, dal momento che non si ingabbia la conoscenza, non si imprigiona lo studio e il lavoro culturale delle persone nelle maglie di un guadagno bieco e poco lungimirante, quale è il business del software proprietario.
Un luogo comune, per il quale il sw libero è tecnologia nata da e per ‘il tempo libero’, ha provocato nell’immaginario collettivo una sorta di impossibilità, nei più, a vedere mercato e professionalità nel momento in cui l’oggetto del mercato è software libero e non proprietario.
Questi `più` cadono però in un equivoco abbastanza superficiale: se da un lato è vero che le grandi corporation, che si riconoscono nella BSA, hanno guadagnato un sacco di soldi vendendo “licenze d’uso” del proprio software (e devono a ciò gran parte dei loro ricavi), è altrettanto sbagliato pensare che la chiave del loro successo sia stato “chiudere” il software.
Perchè, se andiamo ad analizzare i casi più eclatanti di successo del sw proprietario, scopriremo che le sw house in questione hanno adottato pratiche monopolistiche e tattiche anti-competitive, per soffocare la concorrenza (reale o futura), muovendosi tipicamente in contesti come:
– esiste un sw specifico e di nicchia sviluppato da una piccola sw house: la corporation la assorbe e rilancia il prodotto come suo, partendo avvantaggiata perché priva di concorrenza;
– nel caso dei sistemi operativi: chiede (e quando ha acquisito potere, impone) ai costruttori/rivenditori hardware di far distribuire il proprio software (macchiandolo con ridicole targhette di genuinità e certificazioni di compatibilità piena e unica) precaricato sulle macchine, imponendo la vendita della propria licenza come una vera e propria tassa;
– mediante artifizi legali (cause in tribunale per violazioni di brevetti e altre amenità), cercano di spaventare gli eventuali concorrenti che si presentano sulla stessa fascia di mercato con risorse e strategie competitive.
Detto ciò, in un vero mercato libero e sano, non è logico avere remore, solo per il fatto che non si possa impostare il proprio business sulla rendita del licenziamento di software chiuso.
Una piccola azienda che vuole oggi come oggi partire, non avrebbe comunque la possibilità di competere con le grandi corporation del sw proprietario.
Testimonianze di successo, basate su un lavoro certamente duro (soprattutto allo startup) ma prodigo di soddisfazioni, possono essere ditte come ProSA, Renomo, Truelite (che sta anche dietro al del progetto FUSS), Redomino, Coresis… e sono solo i primi che mi vengono in mente, dato che conosco molti dei protagonisti di questi brillanti percorsi professionali.
Altri documenti e spunti in materia:
– “Vendere Software Libero” (di Richard Stallman)
– “Perchè conviene sviluppare esclusivamente Software Libero” (di Stefano Maffulli)
– “Sulla conversione al Software Libero in azienda” (di Luca Tius)