Professione e attivismo sono due cose diverse.
Anche hobby e attivismo sono due cose diverse.
Le intersezioni tra le 3 sfere possono esserci, ma è importante non confondere le cose.
Conosco degli ingegneri che progettano impianti – a loro detta “ecologici” – per lo smaltimento dei rifiuti e la gestione/finalizzazione della raccolta differenziata.
Sono persone che, in un certo senso (non me vogliate, è solo un esempio), lavorano nel “settore dell’ecologia”.
Ma non sono “ecologisti”: per loro, l’ambito, è meramente oggetto professionale, non è attivismo.
Ben diverso è chi organizza eventi, manifestazioni, campagne di sensibilizzazione e/o di protesta, chi realizza un esercizio politico, culturale, sociale.
Se anche nell’ambito del Software Libero si facesse meno confusione tra l’attivismo (pratica e diffusione politica e culturale), e i tecnici facessero i tecnici consci di esserlo (leggi: installare sw libero o scrivere righe di codice coperte da GNU GPL non significa fare attivismo, ma semplicemente usare lo strumento che gli attivisti di FSF hanno creato per la tua libertà), molto probabilmente leggeremmo meno di litigi, di FUD, di sprechi inutili di risorse cerebrali.
Mi ricordo che qualcuno definiva banale la frase “la tua libertà finisce dove inizia quella degli altri“, però ricordo anche con affetto la frase di Lele “essere libero come lo è un bambino piccolo, anche di prendere e andare sotto un’automobile perchè non gli teniamo la mano, non sempre si rivela poi utile“.
Paragone azzeccato, soprattutto come istigazione a crescere.
il distinguo, se non ho capito male, è tra strumenti e idee: generalizzando molto potremmo dire che il professionista usa strumenti e persegue fini pratici, l’ attivista concepisce e/o accoglie idee e le diffonde. ovvio che un professionista può essere guidato da idee tanto quanto un attivista può utilizzare strumenti.
proprio qui, secondo me, è il nodo centrale. un professionista può fare quanto un attivista nel diffondere idee o forse di più. la questione è deontologica.
in fondo anche RMS ha scritto ottimo codice libero per una sua esigenza morale interiore e solo successivamente è iniziato l’ attivismo attorno al software.
Infatti ho scritto che l’intersezione tra i due “mondi”, attuata dalla medesima persona che fa entrambe le cose, non solo è possibile, ma nel caso del Software Libero, è ancora più facile che avvenga.
Proprio a causa di questa facilità, però, si arriva a prendere degli abbagli, e a confondere i ruoli.
Quando Umberto Veronesi o G. Sirchia sono stati chiamati, in qualità di tecnici, a fare i ministri della salute (cosa che hanno fatti entrambi molto al di sopra della media), sono stati investiti anche di un ruolo “politico”, perchè all’interno di un ambito politico si dovevano muovere. Una volta finito il loro incarico, sono tornati fare il loro lavoro, magari con una spinta diversa, ma certamente senza dimenticare che erano medici e non politici.
Lo so, l’esempio c’entra poco, però il mio distinguo deriva dal fatto che ho sentito parlare persone (sistemisti e programmatori) che, lavorando col software libero, senza il minimo interesse per la libertà degli utenti finali, a volte si definiscono “attivisti”. Un domani queste persone si potranno definire anche “attivisti del software proprietario”, e questa cosa un po’ mi fa specie, visto che i valori che si difendono in questa causa non sono legati alla bontà tecnica ma alle caratteristiche “sociali”, solo che in questo mondo menefreghista e individualista, è molto più importante avere i desktop tridimensionali e virtualizzare windows, che pensare a dei sistemi liberi, modificabili, longevi, trasparenti, interoperabili, a basso costo.
Sono assolutamente del tuo stesso avviso e mi arrabbio (per usare un delicato eufemismo) sempre molto quando le persone utilizzano i termini con leggerezza o peggio superficialità o peggio ancora con malafede.
Negli ultimi anni il software libero è diventato in certi ambienti, soprattutto professionali, una sorta di moda. Se prima chi utilizzava software libero (per la maggior parte il sistema operativo GNU/Linux) lo faceva per scelta morale o per considerazioni tecnologiche o per entrambe, oggi mi pare si insegua molto di più l’ hype, la sensazione.
Alcuni progetti scaturiti dalla variegatissima comunità del software libero sono stati spinti e vengono spinti tuttora da giganti economici (Novell, Ibm, HP, ecc…). Altri hanno acquistato rapida fama grazie alla semplicità d’ uso (Ubuntu su tutti). Non sempre dietro al successo di un progetto basato su codice libero abbiamo ritrovato quelle idee di software libero e di condivisione che ci sono care. Il ragazzino, come anche il sistemista, che oggi installano GNU/Linux o lo trovano preinstallato su alcuni server, non hanno gli strumenti cognitivi e la prospettiva necessari a valutare la potenza sociale dello strumento che utilizzano. Infatti vediamo prosperare Compiz, Ubuntu, server web casalinghi, ecc … GNU/Linux per il ragazzino rappresenta un’ appendice di byte al modding del suo case, per il professionista (o sedicente, e sono i più) invece rappresenta una scusa in più per menarsela con i colleghi o giocare all’ hacker buono (passami il termine usato nell’ accezione dei mass-media) con i clienti più creduloni.
Il discorso è ben più ampio e il software ne rappresenta solo la minima parte. Si tratta di un fenomeno sociale inarrestabile per cui la cui velocità di propagazione di una tecnologia è infinitamente superiore a quella di una morale atta ad un utilizzo maturo del potere che la tecnologia stessa comporta.
Riassumerei questo prolisso ed ellittico post con un paio di citazioni, una buonistica ed una bastardistica: “la potenza è nulla senza controllo” e “perle ai porci”.
Sono d’accordo con te.
L’attivismo e la professione sono due cose diverse.
Purtroppo succede che molti confondano queste cose.
Secondo me il lavoro andrebbe gestito secondo scienza e coscienza, l’attivismo secondo coscienza e scienza.
Un’altra cosa che non mi piace molto è quando l’attivismo professa di pensare con la propria testa (anche la scienza lo fa, e alcuni credo politici) e poi senza un capobranco che tira il gregge non si va da nessuna parte.
Dopo 10 anni di nell’attivismo del Software Libero, da sempre vicino alla scena hack, mi rendo conto che la cosa che mi intristisce più di tutte è quando il luogo comune prende il sopravvento e per essere attivisti/hack/geek si deve per forza esssere contropotere stando dentro al gregge della rivolta. Senza pastore ci si sente persi.